Voci dal carcere: Anna si racconta – sedicesima parte

Per un’imprenditrice come Anna, il tempo sfugge dalle dita. Ha vissuto così la prima parte della sua vita, rincorrendo con affanno le giornate che non bastavano mai. Quando viene arrestata e posta in uno stato di detenzione, la forza di andare avanti gliela offrirà soltanto un costante impegno nelle varie attività carcerarie e la generosa assistenza alle sue compagne di detenzione.

“Mi stabilii per un po’ a casa dei miei, il mio impegno era quello di accudirlo, di riuscire a riportarlo alla vita di sempre. Volevo con tutte le mie forze vederlo camminare. Mio padre continuava ad ironizzare tutto ciò che lo circondava, esorcizzando con lo spirito e la cultura ogni evento che avesse il sapore della tristezza. Lui che da anni la tristezza ce l’aveva dentro come uno spettro. La perdita del figlio continuava a riviverla ogni giorno nella sua breve pennichella pomeridiana… Era il mio punto di riferimento, un padre modello, uomo razionale e ragionevole, buono e comprensivo, un uomo di altri tempi.

In una mattina di febbraio, anche se non volutamente, fui io stessa ad affondargli l’ennesimo colpo di grazia: arrivarono i Carabinieri e mi arrestarono per il reato di “Bancarotta Fraudolenta” divenuto nel frattempo definitivo. Mi condussero al Carcere Femminile di Pozzuoli e quella sarebbe diventata la mia stabile dimora. Pochi minuti per entrare in camera da letto e salutarlo con poche parole: «Papà devo andare via, ma torno presto, tu cerca di stare bene». Non ebbi il coraggio di guardarlo mentre gli sussurravo all’orecchio baciandolo… dentro di me dilagava la paura di lasciarlo solo, di penalizzarlo in quella quotidianità che caparbiamente gli assicuravo per riportarlo alla normalità. Ma anche quel sogno si infrangeva e stavolta senza alcuna soluzione da studiare, in quanto non ce n’erano. Rimanevano solo i pensieri e le apprensioni da vincere attraverso quelle numerose sbarre e cancelli che mi avrebbero separata dalla libertà e dalla mia famiglia.

Dopo 13 anni quella sentenza aveva chiuso un capitolo della mia vita che mi aveva vista protagonista nella bellezza, cattiveria e sopruso. Il tempo si chiudeva a cerchio e mi presentava il conto in sospeso: 5 anni e 9 mesi di reclusione. Per ore mi fermai in caserma per le formalità del caso, dopodiché fui rinchiusa nel braccetto 2 della 2^ sezione, cella in cui rimasi per 12 giorni (protocollo Covid). Con due sventurate come me cercai di organizzarmi per il prosieguo. Ebbi pochi attimi di sconforto al pensiero di sentire i miei familiari, mio figlio in particolare modo… Pensavo a come avesse reagito alla notizia del mio arresto e quale considerazione avrebbe avuto di me, lontano, in un’altra nazione, senza il padre. Come madre per anni avevo svolto il ruolo di entrambi i genitori, oltre che amarlo più di ogni altra cosa al mondo.

Ma quei momenti di solitudine e smarrimento furono con tempestività interrotti dalla visita di due agenti, di cui una graduata, che con grazia e sicurezza mi spiegò l’iter burocratico per la spesa, le telefonate e le videochiamate. Le rappresentai guardandola negli occhi, la mia mancanza di sigarette e accendino che mi avevano sequestrato in matricola. Lei aveva capito il mio smarrimento e, dopo essersi allontanata per circa mezz’ora, la rividi con il mio pacchetto di sigarette ancora integro e l’accendino. Il suo sorriso, rassicurante ed intelligente, mi aprì ancora una volta una possibilità: superare le difficoltà… nulla era perduto ed il mondo là fuori mi vedeva solo temporaneamente reclusa: con il tempo tutto si sarebbe risolto.

Dopo l’isolamento sanitario, iniziarono i primi contatti con il mondo carcerario: psicologi, medici, educatori, assistenti sociali e tante opportunità, per non abbandonarti alla tristezza della branda e a non sprecare quel tempo che per me era stato sempre preciso e di cui oggi disponevo in eccesso… La formamentis del costruire era ritornata a caratterizzarmi, dandomi la forza di superare gli ostacoli. Anna c’era e in qualche modo poteva rendersi utile a chi era detenuta come me ma era carente nello scrivere e nel leggere ed addirittura anche nell’interpretare un atto giudiziario che veniva notificato in cella o nel compilare domandine e richieste al direttore volte all’ottenimento di qualcosa. 

Dopo circa due mesi di detenzione, fui convocata al presidio di polizia giudiziaria del carcere e mi ritrovai dinanzi a quell’agente che in isolamento mi aveva accudita con la dolcezza di uno sguardo e che mi diede quella spinta che poi nel mio cammino si è rivelata fondamentale. Sarà sempre il mio dolce ricordo quella donna così giusta ed allo stesso tempo umana, il mio riferimento per qualsiasi tipo di consiglio che mi aiuterà in quel mondo nel quale annaspavo con timore e nervosismo. Fu proprio da Lei che mi venne comunicato il mio trasferimento alla 3^ sezione, in quanto in espiazione definitiva, nonché il progetto di reinserimento nella società attraverso un percorso di formazione, attività e studi. Già bibliotecaria del carcere, fui contattata dall’educatrice: una donna piccola, carina, tanto intelligente ed arguta. Mi propose alcuni corsi, nonché la lettura di libri in concorso Premio Minerva a mezzo dei quali avrei dovuto interagire con gli autori che in videoconferenza avrebbero raccolto le mie opinioni e critiche. 

Il tempo scorreva lento, ma impegnato e costruttivo”…

SEGUE…

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“Gesù che nasce per amore, vi dia un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio e di coraggio”

 

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