Spesso si parla dei comportamenti dei bambini di come vengono educati e del permissivismo dei genitori.
Proporre/imporre condotte dentro e fuori casa è utile ai più piccoli per conquistare la capacità di sentirsi a proprio agio in situazioni diverse. E non infastidire il prossimo.
Ci piace tanto parlare di inclusione, di annullamento delle differenze e poi, dalle parole ai fatti, chiudiamo, categorizziamo in coppie, famiglie, single… Bisognerebbe imparare a stare insieme nella diversità, insegnando ai bambini le regole del buon vivere in comunità, trasmettendo loro la capacità di leggere i contesti. Significa che quando si trovano al ristorante, i più piccoli dovranno rispettare le regole del ristorante, le stesse che hanno imparato a casa, stando a tavola, ma anche altre nuove che consentano loro di sentirsi a proprio agio
nella situazione. E di non creare disagio al prossimo: e chi può spiegare quali sono queste regole se non i genitori?
Non solo, è necessaria una strategia preventiva da parte di mamma e papà: forse indispensabile. Se ho un figlio piccino non posso pensare di andare in un ristorante dove so già che ci aspettano lunghi tempi di attesa. Perché so anche che mio figlio non avrà la capacità, la pazienza di attendere. Dall’altra parte se non voglio rinunciare a questa esperienza devo aiutare mio figlio a superare i previsti momenti di noia. Non piazzandogli in mano il telefonino o il tablet, piuttosto distraendolo con piccoli giochi o invitandolo a disegnare/scrivere, ma consapevole della necessità che io stesso sia attivo nella relazione con il bambino.
La crescente richiesta di strutture per le vacanze “childfree”, libere dagli schiamazzi dei pargoli, dovrebbe spingerci a interrogarci su una questione forse ancora più importante dell’ormai sempre più basso
livello di tolleranza davanti alle normali e connaturali manifestazioni chiassose dell’infanzia. Se questa richiesta, infatti, è culturalmente accettata e sfruttata dai messaggi pubblicitari, dovremmo tutti – a partire proprio da chi è genitore – chiederci se sappiamo davvero gestire la relazione con i più piccoli: sappiamo stare assieme a loro? Non è raro negli spazi pubblici vedere figli di qualsiasi età lasciati davanti a schermi di varie dimensioni per “farli stare buoni”.
All’altro estremo, poi, differente esperienza non di rado offerta a chi frequenta locali o spazi sociali di vario genere (supermercati, ristoranti, piscine, parchi), si trovano invece i piccoli lasciati totalmente liberi di fare tutto ciò che venga loro in mente, senza alcun contenimento da parte degli adulti di riferimento. Eppure pedagogisti ed educatori continuano a ripeterci che in realtà i piccoli hanno un chiaro bisogno di questo contenimento, della guida degli adulti davanti alla loro stessa esuberanza, perché il senso del limite è una delle esperienze che c’insegna il rapporto con gli altri e aiuta
a crescere. La sfida è proprio quella di sostenerli nell’espressione della loro
identità senza risultare eccessivamente repressivi. Ma è ovvio, che questo tipo di approccio richiede impegno, determinazione,
consapevolezza del proprio ruolo e forse anche un minimo di preparazione.
Perché anche a fare i genitori s’impara. In ogni caso entrambe le situazioni –
l’uso di schermi e dispositivi elettronici a oltranza o il totale disinteresse per ciò
che fanno i piccoli – sono facce della stessa medaglia: in un modo o nell’altro, infatti, si evita di creare relazione, non si cura lo stare assieme, si riduce la socialità a una mera condivisione di uno spazio fisico. E, cosa peggiore, si lancia un messaggio deleterio ai bambini, facendo loro capire che gli adulti, in realtà, non sono interessati a stare in relazione con loro.
Le giustificazioni potrebbero essere tante: i tempi moderni impongono ritmi massacranti che riducono il tempo in famiglia a un momento in cui non si vuole fare altro che staccare, oppure non ci sono gli strumenti sociali per fare anche dell’educazione dei
bambini un’esperienza da vivere in rete.
Resta il fatto che il tema del rapporto con i bambini ci interroga su una questione fondamentale: su che tipo di relazioni vogliamo costruire il nostro mondo?
Basterebbe questo per capire che costruire relazioni con i bambini ha a che fare con la nostra stessa serenità, con l’essere capaci di diventare adulti realizzati e completi. Tutto in equilibrio: impegnarsi ad educare con serenità ma anche con fermezza, dare l’esempio e impostare i rapporti con leale reciprocità.
I bambini sono spugne, assorbono tutto, più di quanto noi percepiamo: per questo non possiamo commettere errori. Ogni sbaglio sarà per noi un boomerang, la cui entità rischia di compromettere tutto il processo educativo.
Docente – Giornalista pubblicista
scrive di scuola, attualità, cultura. Collabora con periodici e quotidiani. È presidente di un’ associazione culturale, L’ElzeViro e membro della Stampa Campana – Giornalisti Flegrei. Con istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado promuove convegni e incontri su Educazione alla Legalità, Storia, Letteratura, Politica, Sociale. È docente di Sostegno – area umanistica con una specializzazione polivalente post laurea in strategie di inclusione nelle scuole Secondarie di secondo grado. Si è occupato per diversi anni di dispersione scolastica e minori a rischio in aree difficili della città di Napoli. Ha ricoperto svariati incarichi nelle scuole e negli istituti statali. Promotore di iniziative ed azioni progettuali come tavole rotonde, convegni di studio, concorsi letterari, presentazioni editoriali. È iscritto all’Associazione Nazionale Carabinieri.