Abbiamo pubblicato nelle scorse settimane le prime due parti della storia di Anna, (clicca qui e qui) detenuta della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. Anna è un fiume in piena nei suoi racconti, anche se questi, al momento, narrano solo la parte più bella ed esaltante della storia:
“In quattro mesi riuscii a trovare i locali giusti per realizzare il centro cottura. Uno stabile nella zona industriale di Viterbo, una ex sartoria a due piani. Con la consulenza di tecnici specializzati il mio sogno riuscì piano piano a prendere forma: un centro di cottura tutto mio con il quale avrei potuto fornire cibo a tutte le città e province limitrofe.
I lavori furono enormi e molto dispendiosi per realizzare tutto a norma e per ottenere le innumerevoli licenze necessarie all’attività. Ordinammo le attrezzature più tecnologiche e all’avanguardia. Addirittura delle cucine con delle ruote da campo per essere presenti a sagre, fiere e banchetti per cucinare e servire sul posto.
Non dimenticherò mai il momento di quando mi furono consegnate le chiavi: sapevo di aver realizzato qualcosa di grande e molto competitivo. Era forse l’unico centro in Italia ad avere una capacità di realizzazione di circa 10.000 pasti giornalieri (preparati, confezionati e trasportati a destinazione).
Quel pianto di felicità e di soddisfazione raccolto in un affettuosissimo abbraccio con i miei ragazzi, i miei dipendenti, aveva reso me una donna felice, realizzata, che era riuscita ad affermarsi su un territorio non suo: davo lavoro a circa 80 famiglie ed avevo realizzato ciò che nessuno aveva mai sperimentato. Io, invece, investendo i miei soldi, ero riuscita a centrare l’obiettivo.
La festa di inaugurazione fu meravigliosa, con la presenza del Sindaco di Viterbo e con gli assessori del comune che, insieme a me, tagliarono il nastro di ingresso. “Con la mia caparbietà sono riuscita ad affermarmi” – pensavo mentre insieme a loro salivo quella scala d’accesso – ero riuscita ad approdare con la mia indiscussa napoletanità, competenza e correttezza, su un territorio che per molti era stato sempre considerato un circolo chiuso.
Quella sera, chiuse le porte dopo la festa, nel mettermi in macchina guardavo in alto il grande edificio con quelle gigantesche lettere cubitali -omissis-, mentre rivoli di lacrime mi rigavano il volto ancora incredulo.
Tutto era pronto adesso per la partecipazione alla gara d’appalto: un appalto dettato dalla formula prezzo+qualità con un progetto ben dettagliato. Ma la posta in gioco era alta, un centro cottura ancora da finire di pagare, costato circa 700 milioni di lire, oltre al leasing contratto per le attrezzature. L’appalto, una volta aggiudicato, sarebbe durato 5 anni, più altri 5 rinnovabili.
Venne il giorno della gara, la mia sicurezza quel giorno era totalmente salda, dettata anche dalla scrupolosità della preparazione che c’era stata nella produzione degli atti richiesti e dal progetto preparato da me personalmente. Eravamo 9 concorrenti, tutte grandi imprese giunte da tutta Italia. La gara fu vinta da me, nessuno aveva, così come recitava il capitolato speciale d’appalto, un centro cottura a 5 km dal Comune di Viterbo che potesse garantire il servizio e la sua integrità. Al momento dell’aggiudicazione e con l’augurio della commissione aggiudicatrice, mi precipitai all’ingresso della sala consiliare. Feci le scale in fretta per uscire dal palazzo e andare a congratularmi con i miei ragazzi, per condividere con loro la mia gioia, la mia felicità, sì perché non mi sono mai sentita una datrice di lavoro, ma una loro amica e qualche volta la loro confidente. Sapevo che quella battaglia era la nostra, una nostra vittoria, che quel giorno consolidai con loro traguardi fuori dal comune. Erano pronti ad abbracciarmi e ringraziarmi, per loro altri 5 anni di lavoro assicurato date le potenzialità del centro realizzato.
CONTINUA…