Ha catturato tanti cuori la storia di Anna. Con pazienza, mette nero su bianco i particolari della sua vita che l’hanno condotta a sprofondare nel baratro del carcere con tutto il carico di sofferenza e di rammarico che porta con sé, senza mai lasciare spazio alla disperazione. Anna è una donna forte che cerca riscatto, che rivuole la sua dignità violata e che, quindi, racconta con dovizia di particolari cosa l’ha condotta fino a qui.
Rileggi:
- la prima parte (CLICCA QUI);
- la seconda parte (CLICCA QUI);
- la terza parte (CLICCA QUI).
“Quella gioia condivisa con i miei ragazzi, i miei lavoratori, non durò a lungo. Dopo qualche mese l’azienda che rappresentavo nel settore della ristorazione collettiva fu raggiunta da un sequestro penale preventivo che colpiva la persona di – omissis. Fui raggiunta telefonicamente dai figli che lavoravano nell’azienda che aveva sede in Villa Literno.
Ebbi paura per tutti i ragazzi che lavoravano con me, quello che avevo costruito con fatica, forza e caparbietà, su Viterbo, nonché tutti gli appalti campani che gestivo attraverso telefono e computer nel Sannio ed anche i viaggi settimanali che effettuavo tra Viterbo e Villa Literno rischiavano di andare in fumo. Mi misi in macchina per raggiungere la sede in provincia di Caserta, per capire quale fosse la fine a tutti destinata. Appena arrivai mi imbattei nella figura del custode giudiziario nominato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che avrebbe dovuto vegliare passo passo, nonché gestire le molteplici attività dell’azienda (ingrosso e distribuzione di prodotti alimentari – impacchettamento e distribuzione di zucchero – immobiliare e ristorazione collettiva per enti pubblici e privati).
Non ci sono parole per descrivere la scena raccapricciante del luogo assediato da centinaia di poliziotti, guardie della DIA e Guardia di Finanza negli uffici tra gli innumerevoli libri contabili. In quel contesto mi qualificai con la procura notarile che mi conferiva tutti i poteri gestionali dell’attività di ristorazione. Il riscontro era fornito anche dai libri paga dai quali si evinceva la mia assunzione.
Ricordo che quella mattina nel confrontarmi con il custode giudiziario mi battei con tutte le mie forze, dopo avergli spiegato come veniva esplicata l’attività che gestivo per conto dell’azienda. Il solo sentire che tutto era chiuso e che avrei dovuto relazionare sui lavori in atto, mi mandò su tutte le furie. In quella occasione gli dissi che i centri cottura dovevano essere aperti e che le attività dovevano continuare seppur sotto sequestro, in quanto l’eventuale interruzione da parte nostra avrebbe comportato l’interruzione di un pubblico servizio perseguibile penalmente nei miei confronti che ero controfirmataria dei contratti. Senza considerare il danno alle 80 famiglie che prestavano lavoro e, quindi, circa 300 persone senza mangiare (i lavoratori assunti).
Trattandosi di servizi di prima necessità, quali caserme, scuole, ospedali, avremmo creato un danno ineguagliabile nonché conseguenze penali ed economiche che certamente non sarebbero dipese da me, ma dal provvedimento che aveva colpito l’azienda emesso dal magistrato e dal custode giudiziario da lui nominato. La sua nomina era già stata registrata dalla Camera di Commercio e dalle banche.
Dopo aver chiesto al custode giudiziario di informare il magistrato delle ripercussioni e dei danni alla collettività che avremmo creato, ricordo di essere stata seduta sui gradini del centro cottura con i cuochi, gli autisti, gli assistenti cucina, che mi guardavano attoniti con le lacrime agli occhi: sguardi che cercavano nel mio speranze, certezze, che io non avevo. Dopo ore interminabili di ansie fui chiamata negli uffici ai piani superiori dal custode giudiziario il quale mi consegnava un fax pervenuto dal Tribunale a firma del Presidente della Corte d’Assise, che autorizzava l’apertura di tutti i centri cottura ed il proseguimento del servizio in capo alla mia gestione. Mentre leggevo quelle righe le lacrime rigavano il volto, mentre il custode mi diceva: “Congratulazioni! Ha vinto la sua caparbietà, la sua coscienza del lavoro…” SEGUE…