Voci dal carcere: Anna si racconta – ottava parte

In questo capitolo la storia di Anna narra di vicende personali, legate alla sfera familiare. I suoi racconti ci proiettano nella sua intimità più profonda. Il dolore per ciò che le accade spalanca le porte del baratro nel quale gradualmente Anna precipita…

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OTTAVA PARTE:

“L’insofferenza con il passar delle ore cresceva vertiginosamente attanagliandomi la gola, quasi a farmi mancare l’aria. Aspettavo qualche notizia su quell’uomo che era stato trovato giacente sull’asfalto, immobile ed indifeso. Come mai era successo? Già quella posizione in cui si era trovato parlava e rivelava tutte le fragilità. Solo fino a qualche ora prima era stato uno dei più forti e astuti imprenditori, un uomo generoso. Ma il telefono continuava ad essere muto, gettandomi nell’angoscia più totale. 

Fino ad allora avevo trovato sempre la soluzione ad ogni problema. Sacrifici, lavoro, ma sempre soddisfazione e vittorie… Ma in questa situazione, maturavo sempre di più questa sensazione che avevo già provato qualche anno prima: i sentimenti erano diversi, ma paura e angoscia prevalevano. 

In quel lontano 11 marzo del 1997, venivo privata dei più importanti affetti ed amori della mia vita: mio fratello Alessandro. La sera del 10 marzo venivo raggiunta da una telefonata che non era solito fare. Mi chiedeva come stavo e se gli volessi bene. Scherzando gli risposi un po’ meravigliata, ma felice per quella insolita domanda: “Certo che ti voglio bene anche se sei una peste!” Più tardi nella notte, mio padre mi chiamò e mi pregò, con pacata freddezza, di raggiungerlo a casa, dicendo che mio fratello non stava bene. Ricordo di essermi vestita in pochi minuti ed in altrettanti pochi minuti raggiunsi anche la casa paterna, correndo per le scale per quattro piani, ignorando completamente l’ascensore. Trovai il portone di casa già aperto, mio fratello era riverso sul pavimento con una evidente ferita sulla fronte. Sul pavimento c’era tanto sangue. Non so cosa mi prese, ricordo solo un grande smarrimento ed incapacità di muovermi. Volevo fare qualcosa, ma l’unica cosa che feci fu gettarmi sul suo corpo cavalcioni e con le mani premevo sul cuore nella speranza di farlo rinvenire… sulla respirazione bocca a bocca riponevo tutte le mie speranze…  

Dopo alcuni minuti entrarono gli addetti al 118 che erano stati chiamati da me poco prima che uscissi di casa. Repentinamente procedettero a spostarmi da quel corpo inerme e da quell’anima oramai volata via… Dopo pochi minuti il medico ne dichiarò la morte per arresto cardiaco. Con Lui mi avevano portato via quasi tutto… litri e litri del mio sangue, quel ragazzo che sapeva raggirami per ottenere ciò che voleva, con la sua tenerezza, il suo amore, il suo grosso faccione con piccoli occhietti… quanto lo amavo e se ne era andato via portando con sé quella risposta qualche ora prima sull’affetto, quasi come se sentisse di dover lasciare questo mondo, quella sorella che tanto amava e di cui conosceva i tormenti. 

Siccome era deceduto in casa, fu disposta l’autopsia per conoscere le cause del decesso. Io e mio padre, attoniti fuori alla medicina legale, ascoltammo il referto: un rigurgito, come un neonato: aveva mangiato e poi si era assopito sul divano. A seguito del rigurgito che gli aveva provocato il soffocamento, aveva tentato invano di vomitare, sbattendo la testa sullo spigolo che gli aveva provocato la ferita. 

Il 13 marzo ci furono i funerali nella Chiesa dell’Immacolata del quartiere Vomero, la parrocchia che ci aveva visto entrambi nascere. Arrivammo io e papà con il feretro da Caserta e trovammo centinaia di persone in piazza davanti alla Chiesa e tanti fiori bianchi, tanti volti conosciuti, tanti abbracci. Io ero in uno stato confusionale, mi sembrava tutto un sogno…

Mia madre era rimasta a casa, non aveva retto o non accettava, ma la realtà era una sola: Alessandro non c’era più e stavolta non sarebbe tornato da uno dei suoi viaggi o da una serata brava… No, era andato via per sempre, non c’era più, ma io lo sentivo accanto. Più tardi, con il tempo, capii che sarebbe diventato il mio Angelo.

Ancora oggi, a volte gli parlo, ho l’impressione di vederlo e so con certezza quanto ci protegga e quanto vegli sui miei genitori. Dopo il funerale tornammo a casa… Il tempo di sedermi e mi rialzai subito, non potevo permettermi di piangere. Annunciai a tutti che sarei andata in ufficio per riprendere il lavoro. Fu quello il momento in cui mi resi conto che avevo rimosso la morte di mio fratello: Alessandro c’era! Non c’era motivo né di piangere, né di autocommiserarsi. Lui c’era ed il mio lavoro continuava…

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