Voci dal carcere: Anna si racconta – quinta parte

Anna e la sua storia hanno appassionato tantissime persone. E’ la narrazione di vicende ordinarie che potrebbero riguardare chiunque e che, purtroppo hanno portato ad un drammatico epilogo: il carcere. Anna sta scontando con dignità e pazienza la sua pena. La sua voce si eleva attraverso i suoi scritti per diffondere il messaggio che sta dietro ai fatti, per rendere noto al mondo che sta “fuori” ciò che l’ha spinta a percorrere alcune strade.

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Di seguito la quinta parte della storia:

Ed è con quella gioia, frutto di una vittoria nella quale nemmeno credevo, (cioè combattere con la magistratura per ottenere che il lavoro continuasse e si evitasse un disastro per le famiglie che lavoravano nel settore), che diedi comunicazione a tutti i centri cottura, compreso quello di Viterbo, di aprire i battenti e continuare il lavoro come sempre. Ricordo solo di aver versato tante lacrime di gioia; scrollavo la paura vissuta che mano mano andava via. Il grosso era stato fatto anche se sapevo che il mio lavoro (già di 12 ore giornaliere) sarebbe aumentato, in quanto rientrava nei miei obblighi relazionare per iscritto e tutti i giorni, al custode giudiziario, mio unico interlocutore per tutto ciò che riguardava il settore da me gestito. 

Nel frattempo la notizia tappezzava i giornali: le testate erano solo sul sequestro dell’azienda e sui molteplici appalti che talvolta, con estrema cattiveria, venivano anche messi in discussione con gratuite illazioni. Bastarono pochi giorni per far sì che tutti gli enti pubblici con i quali avevamo contatti, ci scrivessero per chiederci non solo di eventuali cambiamenti nell’assetto societario, ma altri addirittura chiedevano la “COMMESSA” per la legge antimafia che prevede l’esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici laddove uno dei componenti sia colpito dal 41 bis.

Tutte inutili missive, qualcuna anche pilotata, per competizione, da altre aziende. Infatti la società composta da un amministratore e quattro soci, non aveva nulla a che fare con il soggetto colpito dal provvedimento penale, in quanto si trattava solo del padre, che era comunque fuori dalla compagine societaria. Così, d’accordo con il custode giudiziario, scrissi una nota chiarificatrice per tutti i committenti con l’allegata autorizzazione del giudice a continuare il lavoro. Spiegavo che il custode giudiziario, su ordine della Corte d’Assise, mi aveva conferito procura notarile con ampi poteri gestionali a continuare il lavoro (sottoscrivere atti, gestire la corrispondenza, stipulare appalti, fare assunzioni, gestire pagamenti e licenziare).

Dopo un po’ di tempo, circa due mesi, la divulgazione ad opera dei media si calmò; io nel frattempo, grazie alla lettera che avevo diffuso, avevo ottenuto da parte degli enti una lettera di accettazione della nuova situazione e, quindi, la ratifica di tutti gli atti compiuti. Ricordo di non essere mai stata da sola, ma di essere sempre stata circondata da una grande solidarietà dei dipendenti e delle loro famiglie; anche da parte di chi io non conoscevo, ma che conosceva me: per strada mi salutavano con un gran sorriso sornione, quasi a manifestare stima e condivisione per quell’enorme bagaglio di cui mi ero fatta carico nel salvare la sorte di tanta gente.

I mesi passavano ed io continuavo ad acquisire nuovi appalti tra il consenso compiaciuto del custode giudiziario e la felicità degli operai, i quali lievitavano in numero per l’allargamento della società. Oramai la mia vita era un viaggiare continuo fra Napoli, Roma e Viterbo. Vinsi due premi come migliore MANAGER che si era distinta nel settore della ristorazione collettiva, che ritirai a Roma, unitamente ad altri MANAGER provenienti da grandi aziende: catene di Autogrill, ospedali (quali il Gemelli e il Gaslini), mense aziendali, ecc.

… SEGUE…  

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