Voci dal carcere: Anna si racconta – quattordicesima parte

La forza di Anna si regge sugli affetti più intimi. Il figlio le esprime il suo amore dedicandole una canzone di Luca Barbarossa il cui testo suggella il legame d’amore tra una madre ed un figlio aldilà delle avversità della vita.

Di seguito il quattordicesimo capitolo della sua storia:

“Il mio lavoro si era oramai ridotto a sbrigare le pratiche di chiusura dell’azienda e a gestire i sospesi. Nel frattempo venni raggiunta dalla notifica di assoluzione del Tribunale di Viterbo relativamente alle accuse di concussione e turbativa d’asta. La notizia mi trovò fredda ed indifferente: quel foglio che rileggevo più volte, sottolineava un’assoluzione non solo per me, ma anche per tutti gli indagati. Sconvolgente! Mi rendevo conto con il passare delle ore che la mia assoluzione era stata solo l’ancora di salvataggio per tutti coloro che erano stati fin dal primo momento imputati e rei. Ancora una volta il destino mi aveva beffato… ero stata la pedina di una dama giocata su una scacchiera il cui vincitore era stato già designato. 

Non avevo più nulla: gli oggetti preziosi che con il mio lavoro avevo acquistato li avevo venduti per pagare gli stipendi dei miei ragazzi che diversamente avrebbero dovuto aspettare tempi biblici, precludendosi la possibilità di tirare avanti ancora un po’ con le famiglie. E per l’ennesima volta pensavo agli altri e non a me stessa. Per anni mi ero annullata per il lavoro. Ora mi sentivo un leone in gabbia, cercavo di razionalizzare su un progetto o un’ipotesi di futuro. 

Ma gli affetti, gli amori, quelli più grandi, quelli da cui ti aspetti sempre qualcosa e a cui ti appoggi se pur per uno scambio di pensieri, sensazioni, per un supporto, anche quelli ad un tratto venivano a mancare. 

La fredda e gelida notizia di mio figlio fu come la caduta di un macigno sulla testa. Arrivò sotto forma di un dialogo pacato e conciso, se pur sensato: aveva deciso di trasferirsi ad Amsterdam. Era la decisione di un uomo, un ragazzo cresciuto precocemente, razionale, maturo, meraviglioso. Me lo comunicò con un tono di voce basso, tipico di quando si sta per tirare la freccia dell’arco. Volli da sola dare una spiegazione a questa decisione: era il frutto di una necessità di passare ad una vita tranquilla in un posto dove ritmi e cultura popolare erano decisamente differenti da quelli italiani, nonché opportunità ed occasioni di crescita lavorativa che certamente nel suo Paese non avrebbe trovato… 

In cuor mio sapevo di aver contribuito con il mio vissuto a questa sua scelta: non c’ero stata. Ma il dargli tutto, non fargli mancare niente, non aveva compensato la mia assenza. Il ritmo di vita lussuoso non era bastato. Avrei dovuto esserci io quando lui ha avuto bisogno, invece io mi preoccupavo degli altri, di come potessero andare avanti con le loro famiglie.  Alla notizia della sua partenza risposi in modo razionale ma non sincero: «Se pensi che questa scelta sia la migliore per te e pensi che possa darti un futuro ed una vita migliore della mia vai… Non pensare a me!»

Il cuore mi batteva forte ed una miriade di pensieri mi giravano per la testa… Come sarei sopravvissuta alla sua mancanza? Le nostre numerose litigate ed anche i pochi sorrisi e momenti felici mi avrebbero torturata in quella solitudine nella quale ero già piombata da un po’ di tempo. Lui, la cosa più bella della mia vita…avevo generato una perla ed ora lo stavo perdendo... Sì perché il suo trasferimento lo avevo metabolizzato come una perdita, una parte di me che mi stava lasciando, che stava tagliando definitivamente quel cordone ombelicale che ci teneva uniti e vicini, pensavo per sempre…

Ma lui oramai era un uomo ed il mio compito era quello di rispettare la sua scelta a prescindere da quel sentimento forte di madre/figlio che ci univa e non si sarebbe mai dissolto. Questa certezza mi arrivò dopo circa mezz’ora dalla sua notizia, quando sul mio telefonino mi arrivò la notifica di un messaggio. Mio figlio mi inviò la canzone “Portami a Ballare“: un figlio che elogia la bellezza della madre, l’invito a raccontargli di Lei, della sua vita, la richiesta di andare a ballare per vivere qualche momento di felicità ammirando le sue rughe e i capelli sciolti. Aveva centrato e colpito il mio cuore, quella canzone stupenda allora come adesso. Ogni volta che l’ascolto rispecchia il suo amore per me. Una madre che ha lavorato e sofferto tanto ed un figlio che la invita ad andare via con lui qualora si sentisse sola… Un messaggio da parte di mio figlio di indissolubile amore. Forse stavo conoscendo veramente mio figlio ed il mio rammarico era quello di aver perso il meglio di lui, l’adolescenza, le gioie e i dolori. Io non c’ero stata e forse questo era stato il mio più grande peccato.

Anche quel giorno arrivò: squillò il telefono e mi avvisò che era arrivato ad Amsterdam. La città era diventata la mia nemica, l’incubo. Il tempo trascorreva lento e le brutte notizie non si risparmiavano: notifiche giudiziarie, bancarotta fraudolenta, denunce dei fornitori, assegni scoperti, assalto delle banche, divennero il mio pane quotidiano. E tra un problema e l’altro si radicava dentro di me la certezza che mio figlio era stata la più giusta per lui ed anche per me in quanto la distanza lo aveva difeso da una cascata di guai che avrebbero potuto coinvolgerlo. Le mie giornate oramai erano piene di battaglie, carte, avvocati e consulenti alla conquista di risoluzione di problemi e di un’effimera serenità che non avrei più raggiunto. 

SEGUE…

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