Voci dal carcere: Anna si racconta – tredicesima parte

La vita dietro le sbarre scorre su binari paralleli a quelli di chi vive fuori. Da volontaria ho constatato che può esistere una singolare forma di socialità e di comunità, sconosciuta al mondo esterno. Ogni detenuto è una persona come me e te con i suoi limiti, le sue paure, le sue fragilità e i suoi punti di forza, indipendentemente dai reati commessi. La detenzione destabilizza profondamente qualsiasi detenuto, ma è necessario che ognuno di loro trovi la strada per sopravvivere e la motivazione per giungere alla fine della pena.

La storia di Anna è una storia ricca di aspetti comuni, idealmente paragonabile alla vita di tante persone che hanno attraversato esperienze sovrapponibili alla sua. Nella singolarità dei racconti chi di noi non si è immedesimato nella storia chiedendosi: “Cosa avrei fatto al suo posto?” Ecco di seguito il tredicesimo capitolo della storia.

“Il lavoro scorreva lento e nella norma. La partecipazione alle gare d’appalto continuava e, nonostante la rescissione contrattuale del comune di Viterbo, i contratti dei comuni limitrofi continuavano, senza aver subito alcuno scossone dei media. Un pomeriggio fui raggiunta dalla telefonata dei ragazzi di Viterbo, i quali mi invitavano a seguire su internet ciò che stava accadendo negli uffici comunali: avevano arrestato l’assessore ai servizi sociali ed indagato il sindaco ed il dirigente alla Pubblica Istruzione, con il conseguente sequestro di tutti i computer da essi utilizzati. Era iniziata un’altra guerra, quella giudiziaria, probabilmente tesa a chiarire le cause e le manovre attuate affinché l’azienda di Lady Mense fosse stata rescissa dalle commesse. 

Per vari giorni la notizia circolò sui social, tante furono le versioni pubblicate sui giornali, tante verità e tante bugie girarono come una giostra intorno ai fatti… Io avevo creduto nella legge, ma si stava facendo luce su quegli intrighi e giochi di potere che io come parte lesa, ero stata lì a guardare. «Mafia Bianca» la chiamavo io e, a ragion veduta, la ritengo la più pericolosa e violenta di quella armata col pizzo o del contrabbando e del traffico di droga. 

Qualche giorno dopo seppi della scarcerazione ai domiciliari dell’assessore e fui anche raggiunta da un avviso di garanzia della Procura di Viterbo. Ero accusata di turbativa d’asta e corruzione, e mi ritrovai a rispondere dinanzi ai PM della Procura di Viterbo, dai quali ero stata già ascoltata. Fui rinviata a giudizio: il processo durò qualche anno, con tante persone chiamate a testimoniare. Processo che alla fine si rivelò solo una bolla di sapone. Tutti assolti. Non c’era nessun colpevole. Solo io restavo con un’esposizione debitoria notevole per aver investito in un territorio che non era il mio, ma nel quale avevo fermamente creduto lavorando sodo. 

Fui assolta dal punto di vista penale, ma considerata lavorativamente colpevole per aver creduto di poter entrare in quel circolo vizioso, chiuso, come mi dicevano sin dall’inizio: apparteneva solo ai viterbesi, come confermavano i fatti. 

Nel frattempo la società falliva… Gli Enti non pagavano e le risorse per poter ottemperare agli obblighi contrattuali con i fornitori venivano meno. Nel Dicembre 2008 dichiarai fallimento e l’azienda veniva rescissa da tutti i contratti in essere. Tra avvocati e consulenti cercai di capire quali problemi avrebbero potuto coinvolgere i miei lavoratori. Per loro il lavoro era salvo, le mie assunzioni con contratto a Tempo Indeterminato li aveva esclusi dalla perdita del lavoro in quanto avrebbero potuto passare all’altra azienda. Tutte le spettanze, come TFR, tredicesima e quattordicesima furono inseriti nella sentenza di fallimento per poi essere erogati dall’INPS. 

Per l’ultimo periodo di lavoro cercai di erogare alla meglio quanto loro spettasse, conoscendo i tempi biblici della magistratura e dell’Inps. Ci riuscii con fondi personali e vendita di gioielli e diedi così la possibilità di arrivare al prossimo stipendio. Tutto si era sgretolato… DOVE AVEVO SBAGLIATO? Era la domanda che più volte mi facevo, senza trovare alcuna risposta esauriente. Avevo lavorato una vita, raggiunto tanti traguardi, ricevuto premi alla carriera in ambito manageriale… e l’epilogo? Non esisteva più nulla. Anni di lavoro buttati al vento, penalizzata negli affetti e nelle amicizie per essermi sempre dedicata al lavoro… Iniziai così a scrivere per qualche quotidiano, iniziai ad avere proposte da alcune aziende che per anni erano state mie antagoniste. Ma rifiutavo perché avevo deciso che quel lavoro non lo avrei più svolto. Troppa dedizione accompagnata da soddisfazioni e tormenti che erano poi finiti in un’ampolla di cattiveria che si era poi frantumata, annientandomi. 

Le udienze del processo di Viterbo proseguivano con testimonianze innumerevoli e la sottoscritta, nel frattempo, da parte lesa e testimone, passava a coimputata nel processo. Ecco la Magistratura con le sue lacune, il suo «non essere uguale per tutti»… Ma restavano solo mie considerazioni, il mio animo era tranquillo così come pure la mia coscienza. Questa è la mia storia: sapevo di essere stata ferita in più modi: psicologicamente, economicamente, professionalmente e con le mie forze avrei combattuto per quella verità che tutti conoscevano. La verità nascondeva un gioco di potere politico che passava sul corpo delle persone senza sentirne nemmeno lo scricchiolio… innocenti che venivano schiacciati. Che squallore!

Nel frattempo anche gli appalti in Campania iniziavano a crollare: qualcuno non veniva più rinnovato a causa dei trascorsi della vecchia azienda che avevano pregiudicato il futuro della nuova azienda. Si stava chiudendo un’era, il 2008. Un anno che avrebbe decretato la fine di tutto: lavoro, sforzi, sacrifici, dolori, ma anche tante soddisfazioni… Le giornate cominciarono a diventare vuote, tristi. Un’alternanza di sensazioni, tra rabbia e delusione mi pervadevano continuamente fino a farmi perdere il sonno… oramai non dormivo più. Nel giro di un anno anche il centro cottura di Villa Literno fu chiuso. Ero consapevole che oramai l’attività era finita. Tornare indietro sarebbe stato solo un volo pindarico, una pura esigenza di fantasia per poter vincere quel vuoto che mi attanagliava e che si era portato via anche i miei sorrisi…

SEGUE..

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