Due scosse nella notte a Pozzuoli

Due piccole scosse si sono registrate nella notte: una alle ore 22.53 di magnitudo 1.1,  si é prodotta nella zona di Agnano Pisciarelli a 1,4 Km di profondità. Ed un’altra all’alba, precisamente alle 5.17, di magnitudo 1.3, nella zona del Rione Solfatara, a 3 km di profondità. Entrambi gli eventi sono stati accompagnati da boati, distintamente avvertiti dalla popolazione.
Il dato sul sollevamento riportato nel bollettino di martedì scorso si riferisce alla settimana precedente e non sono presenti evidenze di particolare rilievo. Questo dato sarà rivisto nel prossimo bollettino ed evidenziera’ un leggero incremento nella velocità del sollevamento.

In questi giorni Pozzuoli sta vivendo non solo un terremoto legato al bradisismo, ma anche un terremoto politico causato dall’arresto dell’ex Sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliolia e di altre 3 persone per la vicenda del Rione Terra che oggi viene definita “Appaltopoli“.

Di seguito le dichiarazioni di Giuseppe Luongo tratte dalla sua pagina Facebook alla luce degli ultimi eventi di cronaca: “Da anni la frequentazione assidua dell’emergenza produce la disincantata consapevolezza che intervenire sulle cause piuttosto che sugli effetti è utopico nel nostro Paese, in quanto la dimensione ordinaria dell’intervento pubblico è quello di operare in situazione di emergenza. Per anni abbiamo interpretato queste scelte con le analisi politiche più spietate, collegando questa inerzia ad una vocazione speculativa dell’uso del territorio, e con la necessità dei tempi della politica che sono troppo veloci rispetto a quelli previsti per una corretta gestione del territorio. E’ necessario aprire gli occhi per non cadere nei prossimi anni in uno stato di frustrazione ancora più drammatico. E’ ormai tempo di lanciare un grido di allarme sull’incapacità attuale del nostro Paese a realizzare una corretta politica del territorio. I guasti che hanno colpito la classe politica si sono estesi a tutto l’apparato dello Stato nelle sue articolazioni burocratiche e tecniche, centrali e periferiche. Le metastasi hanno invaso tutta la società ed è diventata cultura dominante e diffusa. In queste condizioni non siamo capaci di gestire correttamente il territorio, appunto perché mancano gli strumenti culturali, a partire dal cittadino, risalendo via via attraverso i rami dell’organizzazione dello Stato fino ai vertici estremi. Cambiare significa operare una rivoluzione culturale. Nell’immediato non possiamo aspettarci risultati positivi esaltanti perché sarà necessario preparare una nuova classe dirigente ed una società con una nuova cultura. E’ illusorio pensare di superare il circolo vizioso dell’emergenza permanente lanciando slogan sull’abbandono degli interventi straordinari per rientrare nella normalità. Al contrario è necessario operare sul territorio in modo oculato per evitare o quanto meno ridurre le occasioni delle emergenze. Se queste sono state predisposte da interventi che avrebbero alterato profondamente l’equilibrio fisico del territorio, è necessario correre ai ripari per restaurarne l’equilibrio, prioritariamente nelle aree densamente antropizzate, dove si concentra la gran parte delle attività produttive e la ricchezza del Paese. Ma l’obiettivo delle forze economiche meno attente e più votate al profitto selvaggio è quello di utilizzare la risorsa ambiente a basso costo e di realizzare il profitto massimo senza provvedere alla salvaguardia delle risorse. In questo contesto la catastrofe è un’ulteriore occasione di profitto. Quindi la regola dominante è quella di utilizzare il territorio con interventi intensivi, che lo rendono maggiormente vulnerabile, e intervenire dopo la catastrofe con regole straordinarie, per riproporre un territorio ancora più vulnerabile. Così un’emergenza insegue l’emergenza precedente perché non si va alle radici dei problemi, perché i rimedi messi in atto non sono strutturali, frutto di una compiuta attività programmatoria. Ci si può chiedere perché si continua ad alimentare questa cultura dell’emergenza se produce tanti guasti. E’ stato, infatti, dimostrato che la prevenzione non solo produce effetti sociali positivi, ma è anche un buon affare perché i costi della prevenzione di una catastrofe sono circa 1/5 di quelli da sostenere per il ripristino delle condizioni prima dell’evento. Ma questo risultato positivo per la collettività non lo è per le forze della speculazione e così queste alimentano la cultura dell’emergenza. Intervenire in una situazione di emergenza territoriale significa accedere ai finanziamenti necessari sia a fronteggiare il fenomeno che ha dato vita all’emergenza che per ristorare i danni prodotti. I costi di un intervento da realizzare in condizioni estreme e sotto la pressione dell’urgenza sono significativamente più elevati di quelli previsti in condizioni di normalità, e, poi, l’urgenza induce a soluzioni provvisorie per tamponare la condizione di crisi. Di fronte a questi interessi consolidati una corretta politica del territorio non trova spazio e senza interventi strutturali profondi non è possibile cambiare alcunché. Per lo sviluppo della società del terzo millennio la riduzione dei disastri naturali sarà un imperativo categorico. Per tale obiettivo è necessario avviare una seria politica di equilibrio ambientale. (Questo è il testo di un mio intervento sviluppato a Vatolla Palazzo de Vargas l’8 ottobre 1995 nel corso del Convegno “Politica dell’Ambiente e Mercato”, organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”).

LEGGI ANCHE:

L’Osservatorio Vesuviano “trasloca” dalla zona rossa

Ultimi articoli pubblicati

Articoli Correlati