Pandemia, resilienza e sindrome di Burn-Out

I nostri stili di vita si sono notevolmente modificati con la pandemia. Da oltre un anno siamo tutti concentrati sul coronavirus; in questo periodo sui vaccini, con tante difficoltà, incertezze e contrasti tra gli stessi scienziati, per non parlare delle attività commerciali e della perdita di posti di lavoro. Va rilevato, altresì, che vengono trascurate tutte le altre patologie, in particolare quelle oncologiche, ed è stata completamente ignorata la prevenzione, superando il vecchio famoso detto che “prevenire è meglio che curare”.

A questo  punto  riteniamo utile ed interessante dedicare un’attenzione alla resilienza ed alla sindrome del burn-out. Resilienza è un termine che fu introdotto nel 1914 da Waiter Cammon  e risale all’ingegneria. Infatti indica la capacità di un materiale di resistere agli urti senza rompersi. Negli anni successivi fu applicata anche alla psicologia per indicare la resistenza allo stress di una persona. L’individuo è considerato resiliente se riesce a guardare alla difficoltà del passato per ricavare lezioni utili finalizzate a migliorare le proprie strategie. Per il resiliente vale la pena di vivere da protagonista e non da spettatore cauto e perdente. E’ colui che riesce a superare le difficoltà e ad impegnarsi anche per il bene degli altri.

La sindrome del burn-out, invece, si manifesta a seguito del logorio in ambito lavorativo. Coloro che vengono colpiti da questa sindrome, e sono in particolare i lavoratori del settore scolastico e sanitario, presentano forti livelli di stress, accumulo di stanchezza mentale e fisica, con un crescente disinteresse del lavoro, ma con una intensa sofferenza.

La resilienza è stata almeno rilanciata nel PNRR (Piano Nazionale Resilienza e Rilancio)  per ottenere i fondi dall’Europa, mentre la sindrome del burnout viene completamente ignorata. Ed allora le Associazioni del territorio, oltre a continuare le battaglie contro affaristi e collusi  per la tutela dell’ambiente e della salute, hanno in programma di definire con esperti e con le istituzioni locali progetti adeguati e strutture permanenti  per tentare di recuperare i danni provocati dalla pandemia, con particolare attenzione ai ragazzi nonché al personale della scuola e della sanità.

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