Napoli: La risposta della scuola in un’azione più complessiva

PIANETA SCUOLA - a cura di Ennio S. Varchetta - Più istruzione per tutti

L’allarme dispersione scolastica è il grande buco nero che dilaga dopo il Covid. Il primo nemico da combattere, con ogni mezzo. È il momento dei “Patti” per Napoli. Quello sottoscritto recentemente dal presidente Draghi e dal sindaco Manfredi. Poi, subito dopo, quello annunciato dal ministro dell’Istruzione Bianchi e dalla sua collega agli Interni Lamorgese. Patti di importanza capitale per il futuro della città. Per sottrarre i giovani alla criminalità attraverso progetti con le scuole: trasformare Napoli però senza snaturarla. E a proposito dei patti per Napoli affrontando il tema della crescita culturale delle giovani generazioni, sforzandosi di contemperare anche aspetti economici e sociali. Tutta la società meridionale, non soltanto la scuola, deve essere chiamata in causa per innalzare il livello culturale dei giovani del Mezzogiorno sapendo che dove la società è in via di imbarbarimento non vi può essere una scuola assente. Bisogna estendere lo sguardo ai non garantiti che nel Sud sono tanti, ai quartieri dove la cultura dominante è quella della violenza e della brutalità e dove la cultura istituzionale è disprezzata e perfino irrisa. Andrebbe analizzato il fatto che in diverse famiglie in un anno non si acquista un solo libro. I processi di apprendimento si mettono in essere in famiglia, attraverso i media, per strada non soltanto nella scuola. Purtroppo i ritardi accumulati in tutto il Sud sono enormi. E nessuno può aspettarsi che essi si risolvano in un istante. Ma bisogna pur partire. E da dove? Se nelle famiglie (e non solo in quelle indigenti) non si comprano libri, i ragazzi non leggono. Provocando un effetto espansivo delle aree di arretratezza culturale. Questi giovani, a loro volta, formeranno una famiglia e continueranno a non acquistare né libri né altri strumenti di cultura. Non si può che partire dalla scuola. È la scuola, di ogni ordine e grado, la dorsale della politica culturale di un paese. Come già osservato tante volte, abbiamo di fronte una battaglia nella quale non servono soldati: non possono essi offrire una prospettiva strategica. Occorrono in realtà eserciti di insegnanti ed eserciti di imprenditori. Perché la scuola e il lavoro sono le medicine di cui le nostre realtà cittadine e periferiche hanno bisogno. Una  buona scuola dunque, che si ottiene con il capitale umano. E con le strutture. Aule, palestre. biblioteche, laboratori, computer. Una rete digitale efficiente.
Le strutture devono essere in perfetta operosità. In una struttura scolastica malridotta ragazzi e insegnanti si sentono invogliati a far poco e male. È durante l’infanzia, sui banchi di scuola lì, ad esempio, che si impara ad amare la lettura. Forse è anche un errore dire che i giovani non leggano. Essi leggono ciò che vogliono: i WhatsApp, gli sms, Twitter, Facebook.  L’attività del conoscere si svolge, in parte inconsapevolmente, comeun gioco sociale. Scambi di messaggi, osservazioni personali. Gran parte degli studenti universitari considera il libro un mezzo superato. Preferisce lelezioni sintetiche, appunti schematici. Il telefono squilla ogni due minuti. E poi  arrivano i messaggi. A cui bisogna rispondere, pena l’esclusione dal gioco sociale. Come trovare mezz’ora per scoprire il piacere del leggere…? A far scoprire il gusto della lettura non può provvedere che la scuola. E allora ben vengano i protocolli, le visite e i tour dei politici ma che si provveda sostanzialmente a tradurre in atti concreti, in progettazioni valide per dare ai territori possiblità tangibili e nuovi slanci.

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