Dispersione scolastica

PiAnEtA ScUoLa - a cura di ennio silvano varchetta

Ancora una volta ci tocca parlare di questo tema. E lo facciamo guardando alla nostra città. In queste settimane ho letto vari interventi del sindaco Manfredi. Toccati molti argomenti. Temi importanti di politica regionale e nazionale, temi economico-finanziari, temi sociali. Ma la cosa che ho apprezzato di più è stata l’aver messo attenzione al tema della scuola. Senza negare i ritardi che la affliggono sul territorio cittadino e sui territori periferici. Ritardi in  termini di qualità. E ritardi come effetto di deficit sociali. In primo luogo il cancro della dispersione scolastica. Francamente so, essendomi occupato nel recente passato di dispersione scolastica e minori a rischio, che non è assolutamente semplice fronteggiare il problema, quali possibilità di intervento concreto, in termini finanziari e legislativi intraprendere. Ma è chiaro che la cosa vada considerata in tutta la sua gravità emergenziale. E l’amministrazione comunale con le sue cellule periferiche rappresentate dalle Municipalità, ha il dovere di intervenire. Non fosse altro che per svolgere un ruolo di persuasione, stimolo e controllo sugli enti ai quali compete intervenire. Insomma il sindaco di una grande città deve investire il massimo delle energie per ottenere sul suo territorio una scuola efficiente. Ma per non divagare restiamo al tema della dispersione scolastica.  Certamente l’Italia non è il meglio d’Europa. Ma nelle regioni del sud, in particolare in Campania, a Napoli, raggiunge livelli di assoluta gravità. Il problema non nasce oggi e certamente è complicato da risolvere. Eppure si può intervenire sul fenomeno. Come è ovvio la dispersione non è omogenea sui territori cittadini. A Napoli, ad esempio, le Municipalità con la maggiore percentuale di abbandoni sia per la scuola Primaria che per la Secondaria di 1° e 2° grado sembra siano San Lorenzo-Vicaria- Poggioreale-Zona industriale, Chiaiano-Piscinola-Scampia, e poi Soccavo-Pianura. Le cause individuate nei report dagli assistenti sociali le più disparate. Culturali, sociali, economiche. Ma una ferisce a morte: “L’alunno ritiene inutile la scuola”. E ancora: “I genitori ritengono inutile la scuola”. Francamente nessuno saprebbe indicare la precisa soluzione. Perché forse non esiste una soluzione semplice e immediata. La dispersione scolastica, direbbero gli scienziati e i pedagogisti esperti, è un problema sistemico. È il risultato di un intreccio di cause lontane e prossime. Ma genera una grande tristezza la convinzione dei genitori che la scuola sia inutile. Convinzione che trasmettono ai figli. Ripensiamo un attimo ai contesti degli anni ’50-’60. Anche allora c’erano migrazione, povertà diffusa. Ben più di ora. Ma un fatto era chiaro a tutti: la scuola rappresentava un’occasione preziosa da dare ai figli per costruirsi un avvenire. Era un punto fisso. Per il quale tutto passava in secondo piano. Primo dovere dei ragazzi era lo studio. Tutto il resto veniva dopo. Forse i Presidenti di Municipalità e il Sindaco potrebbero organizzare una task force territoriale: magari insieme alle associazioni culturali. Per costruire intanto una mappa territoriale di dettaglio che consenta di arrivare alle singole famiglie. Ai genitori dei ragazzi in particolare. Affidandone, perché no, il coordinamento ad esperti che alla scuola hanno dedicato le energie di una vita. Con risultati auspicabili. Certamente è difficile che il Comune e i territori ce la facciano da soli. Occorre una pluralità di interventi. È d’uopo che il governo consideri il problema della scuola, in particolare nel Mezzogiorno, come una vera e propria emergenza. Ma il primo passo consiste nel convincere le famiglie che la scuola sia una opportunità per i figli, certamente la più importante, se non l’unica, che questa società è in grado di offrire, già a chi vive nella cosiddetta normalità figuriamoci per chi sta nel disagio economico e sociale. Un progetto di inclusione e rigenerazione sociale che non coinvolga i genitori difficilmente può essere vincente. Occorre insomma un lavoro certosino con le fasce più deboli, dei quartieri più disagiati per scongiurare l’aumento delle già cospicue legioni di dispersione. Le famiglie vanno convinte che i loro figli rischiano di buttare al vento la loro unica occasione di emersione sociale. Questo tema potrebbe essere una delle bandiere della consiliatura dei nostri parlamentini in carica. Ci speriamo fortemente e dobbiamo crederci. In queste settimane ho letto vari interventi del sindaco Manfredi. Toccati molti argomenti. Temi importanti di politica regionale e nazionale, temi economico-finanziari, temi sociali. Ma la cosa che ho apprezzato di più è stata l’aver messo attenzione al tema della scuola. Senza negare i ritardi che la affliggono sul territorio cittadino e sui territori periferici. Ritardi in termini di qualità. E ritardi come effetto di deficit sociali. In primo luogo il cancro della dispersione scolastica. Francamente so, essendomi occupato nel recente passato di dispersione scolastica e minori a rischio, che non è assolutamente semplice fronteggiare il problema, quali possibilità di intervento concreto, in termini finanziari e legislativi intraprendere. Ma è chiaro che la cosa vada considerata in tutta la sua gravità emergenziale. E l’amministrazione comunale con le sue cellule periferiche rappresentate dalle Municipalità, ha il dovere di intervenire. Non fosse altro che per svolgere un ruolo di persuasione, stimolo e controllo sugli enti ai quali compete intervenire. Insomma il sindaco di una grande città deve investire il massimo delle energie per ottenere sul suo territorio una scuola efficiente. Ma per non divagare restiamo al tema della dispersione scolastica. Certamente l’Italia non è il meglio d’Europa. Ma nelle regioni del sud, in particolare in Campania, a Napoli, raggiunge livelli di assoluta gravità.

Il problema non nasce oggi e certamente è complicato da risolvere. Eppure si può intervenire sul fenomeno. Come è ovvio la dispersione non è omogenea sui territori cittadini. A Napoli , ad esempio, le Municipalità con la maggiore percentuale di abbandoni sia per la scuola Primaria che per la Secondaria di 1° e 2° grado sembra siano San Lorenzo-Vicaria- Poggioreale-Zona industriale, Chiaiano-Piscinola-Scampia, e poi Soccavo-Pianura. Le cause individuate nei report dagli assistenti sociali le più disparate. Culturali, sociali, economiche. Ma una ferisce a morte: “L’alunno ritiene inutile la scuola”. E ancora: “I genitori ritengono inutile la scuola”.Francamente nessuno saprebbe indicare la precisa soluzione. Perché forse non esiste una soluzione semplice e immediata. La dispersione scolastica, direbbero gli scienziati e i pedagogisti esperti, è un problema sistemico. È il risultato di un intreccio di cause lontane e prossime. Ma genera una grande tristezza la convinzione dei genitori che la scuola sia inutile. Convinzione che trasmettono ai figli. Ripensiamo un attimo ai contesti degli anni ’50-’60. Anche allora c’erano migrazione, povertà diffusa. Ben più di ora. Ma un fatto era chiaro a tutti: la scuola rappresentava un’occasione preziosa da dare ai figli per costruirsi un avvenire. Era un punto fisso. Per il quale tutto passava in secondo piano. Primo dovere dei ragazzi era lo studio. Tutto il resto veniva dopo. Forse i Presidenti di Municipalità e il Sindaco potrebbero organizzare una task force territoriale: magari insieme alle associazioni culturali. Per costruire intanto una mappa territoriale di dettaglio che consenta di arrivare alle singole famiglie. Ai genitori dei ragazzi in particolare. Affidandone, perché no, il coordinamento ad esperti che alla scuola hanno dedicato le energie di una vita. Con risultati auspicabili. Certamente è difficile che il Comune e i territori ce la facciano da soli. Occorre una pluralità di interventi. È d’uopo che il governo consideri il problema della scuola, in particolare nel Mezzogiorno, come una vera e propria emergenza. Ma il primo passo consiste nel convincere le famiglie che la scuola sia una opportunità per i figli, certamente la più importante, se non l’unica, che questa società è in grado di offrire, già a chi vive nella cosiddetta normalità figuriamoci per chi sta nel disagio economico e sociale. Un progetto di inclusione e rigenerazione sociale che non coinvolga i genitori difficilmente può essere vincente. Occorre insomma un lavoro certosino con le fasce più deboli, dei quartieri più disagiati per scongiurare l’aumento delle già cospicue legioni di dispersione. Le famiglie vanno convinte che i loro figli rischiano di buttare al vento la loro unica occasione di emersione sociale. Questo tema potrebbe essere una delle bandiere della consiliatura dei nostri parlamentini in carica. Ci speriamo fortemente e dobbiamo crederci.

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