La privazione della libertà il più delle volte getta il detenuto nello sconforto e nella paura: nella sua solitudine deve imparare a non naufragare. Con coraggio deve trovare la chiave per poter sopravvivere fino al ritorno alla libertà. Anna commenta il suicidio di Azzurra e Susan.
“Hanno preferito la morte, non hanno retto al regime carcerario. Spesso per debolezza oppure per disperazione. Ci vuole forza e tanto coraggio per poter accettare passivamente la reclusione, dandosi delle risposte eque, sensate rispetto alla ricorrente domanda: “È giusto che io sia qui?”
Viviamo in una società nella quale diritti e doveri sono fondamentali per il rispetto del prossimo, per la convivenza in questo mondo in cui leggi e norme ne regolano i comportamenti. Diversamente ci sbraneremmo tutti come animali. Ed in seno a queste leggi, se si sbaglia, si paga.
Il carcere è il duro pegno per riscattare il male arrecato: Azzurra aveva solo 28 anni. Tante possono essere state le componenti che l’hanno spinta al gesto estremo: la giovane età; una solitudine interna ed angosciante, unitamente allo stato precario vissuto nella struttura con il sovraffollamento ed il caldo. Si è impiccata nella sua cella.
il suicidio le è sembrata la soluzione più facile ma allo stesso tempo difficile nel farla finita. Azzurra segnata da una vita difficile, dipendente dalla droga, avrebbe dovuto scontare in carcere piccoli reati commessi tra il 2013/2014. Il suo incubo sarebbe finito nel 2025. Aveva confidato alla madre telefonicamente dal carcere ”Mamma non ce la faccio più”. Anni difficili per lei: lavori continui e saltuari, studi interrotti ed l’affidamento al SERT, dove tentava di sconfiggere i mostri con i quali combatteva. Già nel passato si era procurata lesioni personali, gesti ai quali nessuno aveva prestato la giusta attenzione. La Procura ha aperto un’indagine al fine di chiarire se effettivamente il carcere doveva essere il posto giusto per Azzurra o sarebbe stato più opportuno affidarla ad una struttura per la cura della mente. Sovente mi chiedo (ed il caso di Azzurra mette in rilievo il mio pensiero), sarà poi giusto pagare il conto con la giustizia dopo 9 anni dalla condanna?
Forse io avendo vissuto come lei quei momenti, posso pensare che la sua mente oltre le sbarre viaggiasse con l’estate, con il mare, il sole, la vita, con quel mondo che ci ha precluso (se pur giustamente) un posto, una panchina, un angolo per poterlo vivere….
Ancora più angosciante è stato l’abbandonarsi di Susan che a 48 anni con il rifiuto di acqua e cibo si è lasciata andare, facendosi prendere dalla morte che ha posto fine a tutti i suoi problemi: la mancanza del figlio, la lontananza dal suo paese senza che nessuno si preoccupasse di lei. Lei che rappresentava solo un numero e niente più dietro quelle sbarre. Susan è entrata in carcere con una dura condanna da espiare di circa 10 anni e sarebbe tornata libera nel 2030. Il distacco dalla sua famiglia, da suo figlio piccolo l’ha uccisa dentro, nell’anima e nel cuore. Si è lasciata andare lentamente. Definita da chi fuori da quelle mura l’ha conosciuta come una mamma simpatica, amorevole con i figli. Susan come madre ci ha insegnato che non si può fare a meno di un figlio. E senza di esso si può anche morire.
Non posso e non voglio giudicare il gesto inconsulto di Azzurra e Susan, ma quando si arriva in quei posti dove la luce del giorno ti abbandona e la solitudine prende il sopravvento, devi avere la forza di combattere per riavere ciò che ti spetta: la libertà. Prima o poi il tempo ti restituisce quella luce riportandoti al mondo, basta solo pagare il conto, queste sono le regole.
Che Dio possa averle in gloria perdonando il loro gesto che non trova giustificazione, ma può essere solo compreso e non condiviso per quel principio secondo cui tutti andiamo avanti…. Il valore della vita che non ha misura…”