Una sentenza consentirà ad Alex di cambiare i documenti

Oggi Alex compie 21 anni. Per la sua famiglia è l’anno zero. Una sentenza emessa dal Tribunale di Napoli dopo un lunghissimo iter burocratico, ha autorizzato i nuovi documenti e l’intervento chirurgico. La strada fatta insieme mi ha insegnato tanto, ma c’è tanto ancora da imparare. Pubblichiamo la nostra esperienza per condividerla con chi si trova a vivere la stessa condizione e per affermare con naturalezza che insieme si possono superare i tanti pregiudizi, quei pregiudizi che schiacciano le ragazze e i ragazzi che vivono situazioni simili a quella di Alex.

*Ricevo e pubblico da mio figlio:

“Le persone che intraprendono un percorso di transizione di genere, per poter vedere riconosciuto il proprio genere e il proprio nome sui documenti devono per forza affrontare una udienza in tribunale. Il regalo più bello che ho ricevuto per i miei 21 anni è stato sapere che tra qualche mese sarà tutto finito: avrò anche io i miei documenti.
Cercare di spiegare cosa si prova non è facile, è una gioia troppo grande per poter essere descritta con le parole. Avere i documenti con il mio nome, Alex, scritto sopra, significa poter cominciare a vivere, perchè una cosa è certa: noi persone transgender dobbiamo faticare il doppio per avere la metà degli altri.

Quindi gioisco a questa notizia come quando a un bambino viene regalato un gioco nuovo. Ma, dall’altro lato, fermatevi un attimo a pensare a quanto è triste la frase che ho appena scritto. Immaginate dover gioire per quella che agli occhi degli altri non è altro che la normalità: immaginate gioire perché, finalmente, le umiliazioni sono finite.
Io sono solo un ragazzo di vent’anni, eppure mi sono dovuto sedere davanti a un giudice che, pur non avendomi mai visto nella sua vita, quindi non conoscendomi affatto, ha espresso giudizi sul mio percorso, su tutta la mia vita riassunta in mezz’ora, ha preso il dolore di anni e anni e ne ha fatto ciò che voleva, giudicandolo come se non valesse più niente.

Qui funziona così: il potere di decidere della mia vita ce lo aveva lei, io non avevo più potere su me stesso. È molto difficile anche spiegare quanto è disumana questa procedura: io, seduto su quella sedia davanti al giudice, sono stato privato della dignità in quanto essere umano. Ho avuto un rinvio di quattro lunghissimi mesi, ma finalmente adesso si riesce a vedere la luce infondo al tunnel. Io non cerco la compassione di chi legge tutto questo e so che non saranno le mie parole a cambiare l’iter che bisogna seguire: quello che vorrei è che si allenasse di più l’empatia. Il mondo per me, all’infuori della cerchia di persone che mi amano, non è un luogo ospitale, e io sono tra i più fortunati che almeno hanno un posto che possono chiamare casa.

Impariamo a comprendere con gentilezza storie che a noi sembrano tanto lontane, solo così si può rendere il mondo un posto per tutti”.

*ALEX

Il Pride di Napoli accoglie anche Alex e la sua nuova vita

 

Ultimi articoli pubblicati

Articoli Correlati