PIANETA SCUOLA a cura di Ennio Silvano Varchetta – La retorica dell’eccellenza del sistema scolastico non è compatibile con l’incompletezza e la fallibilità di ognuno di noi

I giovani, più capaci di quanto crediamo

Negli ultimi tempi si è parlato dei nostri giovani che hanno affrontato l’esame di maturità: non un esame normale come gli altri degli anni scorsi ma una prova dopo due anni di pandemia con tutto ciò che essa ha comportato. In molte scuole ed istituti ci sono stati elogi e grandi strette di mano con votazioni di rilievo. Molti giovani, donne ed uomini hanno condotto colloqui di alto livello e in diversi casi condiviso discorsi culturali e politici, lanciando un messaggio fondamentale per tutti noi. Da docente, alla luce di questi risultati, pensavo che i nostri ragazzi e ragazze hanno diritto ad una scuola diversa: non performante ma formativa, non competitiva ma in grado di mettere in azione le competenze individuali nell’azione collaborativa. Un sistema scolastico non frontale, io insegno tu galleggi, ma relazionale, il successo dipende anche dal modo in cui stiamo dentro alla relazione di apprendimento-insegnamento. Inoltre è importante evidenziare come la scuola e la ricerca siano al servizio non della società e del benessere di tutti, ma alle logiche di mercato. Quella scuola-azienda che tanto detestiamo perché non libera ma soggetta al potere economico. Non bisogna dimenticare nessuno: tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche quelli che omettiamo, vanno valorizzati e ringraziati per il lavoro che svolgono. La disparità di genere, del lavoro di cura che ricade sulle donne incompatibile, spesso, con il desiderio di raggiungere i propri traguardi lavorativi. In molti hanno parlato del divario tra nord e sud, di chi tra di loro, ragazzi e ragazze, proprio per la competizione e il modello performante a cui sono sottoposti, si è perso per strada. In alcuni casi hanno usato anche parole potenti, tipo: “Se noi siamo arrivati qui non è grazie a questo sistema, è nonostante questo sistema”Ho pensato a tutti quegli insegnanti e genitori che credono che la disciplina, la meritocrazia, la competizione, la performance, fortifichino l’animo e debbano essere il “fulcro” del sistema scolastico. Ecco, quando pensiamo a riformare la scuola, invece di attaccarci all’innovazione digitale come panacea di tutti i mali, dovremmo pensare ad ogni singola parola di questo discorso. Inoltre, ci terrei a ribadire che questi giovani brillanti rappresentano per me la speranza, quella vera, nel futuro. Quella capacità di tenere insieme ogni parte, di riconoscere il valore individuale ma, soprattutto, collettivo, di prendersi cura in modo giusto della distribuzione del potere. Quella capacità conciliante, non performante, non discriminante, non patriarcale, capace di non negare la propria friabilità ma di inglobarla e superarla.

Nonostante le voci tremanti, tipiche nelle sedute d’esame, nessuno è riuscito a fermarli, eppure la rappresentazione del potere a cui siamo abituati, le capacità di leadership che ci hanno imposto, a tratti volgare, presuntuosa, privilegiata, esclude tutte le abilità di cui questi giovani si sono fatte portatori. Quanta forza, potere e determinazione c’era nel loro modo di porsi e nelle loro parole! A questo punto non c’è migliore conclusione per questa mia riflessione che quella formulata da qualcuno di loro: “La retorica dell’eccellenza su cui il sistema scolastico e sociale poggiano, non è compatibile con l’incompletezza e la fallibilità di ognuno di noi”. Ecco la scuola di cui avremmo bisogno. Bisogna credere nei nostri giovani, le loro potenzialità sono straordinarie.

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