Si è conclusa la 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia organizzata dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Trieste ha fatto da cornice a questo importante appuntamento. Ad aprirla era stata il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «L’alito della libertà è il diritto all’opposizione», aveva detto il Presidente giovedì in Porto Vecchio a Trieste concentrando il suo discorso sul tema della democrazia. “Suggerisce un valore. Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera”, insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte”. E ancora: “E’ un tessuto che gli avversari pretenderebbero logoro. L’interpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di reciproco rispetto. Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima”. Mattarella aggiunge anche come “la democrazia si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità. Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta?
E dopo le varie ed intense giornate a chiudere è stato il Santo Padre. Ha chiesto ai cattolici il “coraggio” di pensarci come popolo e di partecipare e formarsi alla politica come bene comune e contrasto alla “cultura dello scarto”. Da piazza dell’Unità d’Italia, l’invito a “pregare e operare per la pace”. Ai triestini: “continuate a impegnarvi in prima linea, specialmente per coloro che arrivano dalla rotta balcanica”. Un forte appello alla partecipazione e alla formazione politica, per risanare una democrazia che ha il cuore ferito.
L’appuntamento ha riunito circa 900 delegati diocesani da tutta Italia ed è stato caratterizzato da una serie di eventi, dibattiti, concerti, spettacoli teatrali. Il tema principale è stato: “Al cuore della democrazia”. Dal 4 al 7 luglio, quattro giorni di lavori congressuali e iniziative pubbliche: dai Villaggi delle Buone pratiche alle Piazze della democrazia, dalle Tavole rotonde ai dialoghi. Trieste è diventata così laboratorio di partecipazione, con numerosi incontri per i delegati e iniziative pubbliche all’aperto in tutto il centro. Una settimana che si inserisce nel solco del cammino sinodale della Chiesa, riprendendo lo spirito originario del beato Giuseppe Toniolo che per primo, più di un secolo fa, a Pistoia nel 1907, ideò questo format che poi è cresciuto e si è sviluppato nei decenni per chiedere agli uomini che professano la fede in Dio, di contribuire con la propria visione di credenti e mettersi in gioco per il buon governo del Paese.
La chiusura ha visto dunque la partecipazione del Papa: il Santo Padre fa il check up alla democrazia e afferma che “il mondo di oggi non gode di buona salute”. “Possiamo immaginare – afferma – la crisi della democrazia come un cuore ferito, infartuato”. Ma allo stesso tempo Francesco rilancia: “Appassioniamoci al bene comune”, affinché attraverso la partecipazione “la democrazia assomigli a un cuore risanato”. E quindi la sua proposta di “organizzare la speranza”. “La pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso – sottolinea -. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa? Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune”. Il fulcro del discorso di Papa Bergoglio alla 50.ma Settimana sociale dei cattolici italiani è proprio qua. Francesco arriva al Centro Congressi in perfetto orario, poco dopo le otto e non tarda ad entrare in argomento. Per prima cosa stila la diagnosi della democrazia. “La crisi della democrazia è come un cuore ferito – sottolinea -. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone”.
Secondo il Papa, che cita fra gli altri, anche Aldo Moro e Giorgio La Pira, il perno della democrazia è la partecipazione. “E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”. Per cui “‘Un politico che non ha il fiuto del popolo è un teorico”. Occorre dunque promuovere “un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona”.
“Il politico – ha spiegato a braccio – deve essere come un pastore: davanti, in mezzo, dietro al popolo”. Sulla scorta di Giorgio La Pira, Francesco ha invitato il laicato cattolico, con “progetti di buona politica che possono nascere dal basso”, ad “organizzare la speranza”. Poi cita Aldo Moro: «Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità». Fa quindi riferimento ai principi di solidarietà e di sussidiarietà, il Pontefice. “Infatti un popolo si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare. Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale. Quindi “tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. E l’indifferenza è un cancro della democrazia”. Non bisogna dunque farsi ingannare da soluzioni facili. E i cattolici in questo senso, rimarca Francesco, hanno qualcosa da dire. “Non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”. Soprattutto, aggiunge, “avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire – ribadisce il Papa -, ma non per difendere privilegi. Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Questo è l’amore politico. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi”.
Gli esempi buoni non mancano. “Pensiamo – esemplifica Francesco – a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti”. Ci spetta, dunque, “il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e dell’ecologia integrale”.
Ecco, dunque, la conclusione del Papa: “Se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Da discepoli del Risorto, non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio e che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro, Vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione”.
Al termine del suo discoro il Papa ha incontrato brevemente alcuni rappresentanti ecumenici, il mondo accademico e un gruppo di migranti e disabili. Si è quindi trasferito a Piazza Unità d’Italia, per la Messa, accompagnato lungo il tragitto da due ali di folla, che lo hanno salutato con gioia ed entusiasmo. In particolare prima della celebrazione, Francesco ha incontrato la signora Maria, di 111 anni, residente a Trieste, con cui ha scambiato qualche battuta. Il Pontefice le ha donato un rosario, l’ha benedetta e l’ha salutata con affetto.
Mentre i Campi Flegrei riprendono a ballare entra in vigore il Decreto Bradisismo