A Pozzuoli continuano le scosse e gli sciami sismici. Gli ultimi eventi sono stati avvertiti nella giornata di ieri, culminati con la scossa delle 21.28, di magnitudo 1.2, ad una profondità 800 metri, epicentro a mare.
La Cisl il 18 novembre 1983 organizzò un seminario finalizzato all’utilizzo delle risorse per lo sviluppo dell’area flegrea. Tra i relatori, partecipò il Prof. Sandro Oliveri del Castillo, docente di Fisica Terrestre dell’Università di Napoli. Nella sua relazione il Professore, dopo aver affermato che “le rocce vulcaniche che riempiono la conca flegrea non costituiscono un insieme omogeneo e isotropo (uguale comportamento) ed i loro spessori sono variabili da zona a zona per la diversa profondità del basamento disposto a gradini ….” continuò che “l’energia di un terremoto dipende dalla dimensione delle superfici di rottura. Perciò i terremoti di Pozzuoli non possono raggiungere intensità notevoli. Basti pensare al terremoto dell’Irpinia del novembre 1980, la cui intensità, corrispondente ad una magnitudo 6.2, ha comportato la rottura lungo una superficie di 20 chilometri quadrati”. Ed ancora : “Questo spiega la massima frequenza di terremoto nell’area intorno a Pozzuoli compresa tra Arco Felice, Via Campana, Pisciarelli, Accademia, Via Napoli, Porto. Diverso sarebbe il discorso se i terremoti fossero determinati da rotture delle rocce più profonde (5-10 Km) e rigide perché potrebbe interessare superfici di distacco molto più estese……Fino ad ora questo non è avvenuto, tutti gli ipocentri sono a piccola profondità tra 1 e 3 chilometri, cioè all’interno delle rocce vulcaniche che riempiono la conca flegrea”.
Nel completare la sua relazione, il Prof. Oliveri del Castillo affermò che “attraverso i pozzi possiamo estrarre con i fluidi caldi il calore sotterraneo. Questo ci consentirà di scaricare le energie interne e quindi di impedire sia il sollevamento del suolo sia il maturare di eventi eruttivi”.
Insomma, secondo questa teoria, con lo sfruttamento della risorsa geotermica avremmo preso “tre piccioni con una fava” perché: 1) avremmo prodotto energia elettrica; 2) evitato il sollevamento del suolo; 3) non ci sarebbero scosse.
Si riporta, inoltre, la posizione del vulcanologo Prof. Giuseppe Luongo, secondo il quale “quando si raggiungono oltre i 400 gradi a 3 chilometri di profondità, significa che a 5-6 chilometri le temperature sono di 800 gradi e che rappresentano la temperatura magmatica. Al centro della caldera una massa magmatica di volume contenuto (dicco) può spingere a profondità minori e divenire il centro di spinta che produce la deformazione delle rosse ci copertura. Questo processo è quantificato con un modello fin dalla crisi degli anni ’70 e non è un modello qualitativo come quello dei fluidi. Naturalmente il calore liberato dalla massa magmatica fornisce energia ai fluidi che alimentano il campo idrotermale. L’emissione dei fluidi libera l’energia trasmessa dal magma, raggiungendo una condizione di equilibrio tra energia acquisita ed energia liberata. Questa energia è solo una parte dell’energia liberata dal magma con il calore e con la spinta meccanica perché è in pressione. L’energia dei fluidi potrebbe essere sottratta con sondaggi perché sottrarrebbe fluidi dalle rocce, ma questo processo potrebbe produrre la subsidenza in condizioni di stazionarietà dei fenomeni in profondità, ma se l’attività magmatica cresce, la sottrazione dei fluidi con le perforazioni non arresterebbe la risalita del magma. Pertanto, per concludere, se nella interpretazione del fenomeno osservato il magma è escluso, non rappresenteremo correttamente ciò che osserviamo e produrremo modelli previsionali errati. Il magma è il motore del fenomeno perché fornisce l’energia al sistema e la sua attività è mostrata anche dal rilascio di gas rilevato nelle fumarole”.
Si ritiene, pertanto, che oltre al controllo del fenomeno, sia indispensabile il confronto tra scienziati; si auspicano a breve iniziative pubbliche con la partecipazione di Associazioni e cittadini.