In attesa che il Consiglio Comunale di Pozzuoli, convocato per mercoledì prossimo, riesca a definire un progetto che preveda il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali per restituire tranquillità ai cittadini, da tempo in fibrillazione per le continue scosse, spostiamo la nostra attenzione sul fenomeno bradisismico.
Un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha pubblicato sulla rivista “Geology” uno studio sul progressivo aumento della percentuale di anidride carbonica nei Campi Flegrei proveniente da fonti non magmatiche. Viene chiarito che non ci sono pericoli per gli esseri umani. I flussi sono concentrati in particolare nelle vicinanze del cratere Solfatara e, a partire dal 2005, sono progressivamente aumentati nel corso della recente crisi bradisismica.
Abbiamo consultato il Prof. Giuseppe Luongo, famoso vulcanologo, il quale ha spiegato che gli autori della ricerca (proff. Lucia Pappalardo, Gianmarco Buono e Giovanni Chiodini) sono giunti a “questo risultato confrontando i valori che hanno ottenuto con due modelli sulla formazione dei gas, con il dato misurato dal sistema di monitoraggio. Un modello prevede la liberazione del gas da una sorgente magmatica a 8 km di profondità per decompressione; un secondo modello prevede la miscelazione di gas provenienti da fluidi magmatici posti a diverse profondità, l’uno a 18 km, il secondo ad 8 km. Gli autori ricostruiscono l’evoluzione dell’emissione della CO2 dalla crisi del 1982-84. Questa crisi, sempre seguendo la ricostruzione degli autori della nota sopra citata, affermano che la crisi fu prodotta dall’accumulo dei gas alla base del sistema idrotermale, rilasciati da una sorgente magmatica profonda 16-12 km. Seguì la depressurizzazione, la subsidenza e la quiete sismica. Dal 2005 il fenomeno riprende, alimentato dall’intensificazione del degassamento del magma della sorgente più superficiale a 8 km di profondità e la migrazione dei fluidi verso il sistema idrotermale. Gli autori hanno costruito un percorso tortuoso e senza vincoli per adattare il modello ai dati. Una colossale confusione dove non si comprende se i fenomeni osservati come sollevamento, sismicità, degassamento siano causa o effetto. Non è mai detto cosa o quale processo produce l’intensificazione del degassamento.
Perché ciò possa accadere deve diminuire la pressione che agisce sulla sorgente magmatica e questo può avvenire con la risalita del magma, portandosi a valori più bassi dello spessore della copertura delle rocce sovrastanti, ma gli autori escludono tale risalita. Bisogna allora invocare un aumento di fratturazione delle rocce di copertura che produce l’effetto di diminuire la pressione sul magma senza che questo migri.
Ma quale processo genera tali fratturazioni se non il magma che spinge le rocce sovrastanti? Ancora, si può ipotizzare che la temperatura del magma si innalzi e tale fenomeno produce una più intensa liberazione dei gas. Ma tale ipotesi non è avanzata dagli autori. In conclusione i modelli interpretativi della emissione della CO2 riportati in questo lavoro (modello di decompressione e modello mixing) non funzionano perché giungono allo stesso risultato con diversi meccanismi (una sola sorgente magmatica, più sorgenti magmatiche a diversa profondità). Ciò accade perché il metodo adottato è poco selettivo e, quindi, molte soluzioni possono adattarsi. In buona sostanza mancano i vincoli necessari a ridurre il numero di soluzioni per tale fenomeno complesso“.
Gli scienziati non hanno una posizione condivisa, per cui sarebbero necessari confronti periodici per giungere almeno alla conclusione che non ci sono pericoli imminenti di eruzione e che bisogna concentrarsi soprattutto sulla vulnerabilità degli edifici e sulla formazione dei cittadini, dal momento che bisogna convivere con il bradisismo.