Al recente evento a Napoli per il trentennale della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia a Palazzo Salerno, nella sede del Comando Forze Operative Sud dell’Esercito, si è parlato di lotta alla camorra. Inevitabilmente, non poteva non essere rivolta l’attenzione verso la preoccupante escalation di accoltellamenti tra ragazzini. Tali eventi sono divenuti una triste ed assurda abitudine nei weekend delle strade napoletane.
E allora vogliamo parlare di un giovane, ormai cresciuto. Attraverso il suo racconto possiamo comprendere cose significative e ancora diffuse. Ad appena 13 anni Giovanni (nome di fantasia) usciva tutti i giorni, anche e soprattutto di notte, a Napoli, con gli amici. Non frequentava più la scuola ma sfoggiava le armi dal motorino e impauriva la gente. Era un membro di una baby gang.
Le modalità sono tutte simili: una fila di motorini scende lungo le strade di alcune zone della città. Alla guida sono tutti ragazzi, giovanissimi, non hanno più di 14 – 15 anni. Alcuni hanno un’arma: spesso una sigaretta. Tra loro c’è Giovanni, capelli corti, rasati dietro e tirati con il gel. Nessuno ha il casco, tutti in jeans, giubbotti corti, qualcuno suona il clacson, qualcuno invece grida per mettere paura. “Sono cresciuto con un padre che è stato in carcere per diversi anni. Diciamo che quell’ambiente lo conosco bene – racconta G. che oggi di anni ne ha 20 e con gli ex compagni di baby gang non “scende” più in strada.
“Il nostro obiettivo era fare paura, mostrarci potenti. Usavamo violenza sulle persone e ci capitava anche di discutere e misurarci con adulti“. Per più anni Giovanni ha scambiato il giorno con la notte. “Non andavo più a scuola, di giorno dormivo solo e quando era buio mi alzavo per uscire con il gruppo”.
“Per la camorra le baby gang sono come un braccio senza cervello ma noi non lo capivamo. Ci sentivamo importanti e non avevamo niente da perdere“. Il momento di svolta per Giovanni è arrivato un pomeriggio nel cortile della parrocchia del quartiere. “Ero andato per conoscere il nuovo sacerdote, Don S. e dal primo momento lui mi ha fatto scoprire un mondo che prima non riuscivo a vedere. Un mondo diverso da quello che mi si offriva“. A piccoli passi Giovanni ne è uscito. “Ho scoperto cose semplici che possono sembrare banali ma a me hanno letteralmente salvato la vita: il canto, i pomeriggi in chiesa, i tornei di calcetto, il volontariato: cose semplici ma straordinarie“.
Negli ultimi anni le baby gang sono aumentate in tutto il territorio nazionale da nord a sud, nelle grandi città come nei piccoli centri. Secondo recenti report del Servizio di analisi criminale della Direzione centrale della Polizia sui minori nel periodo della pandemia è aumentata del 10% circa la quantità di minori denunciati o arrestati, circa 25 mila nel 2021, ed è salito del 20% il numero di reati. “Oggi mi ritrovo con un diploma e frequento un corso universitario. Sono ancora in contatto con i miei amici di prima perché loro sono un pezzo della mia vita, a volte mangiamo insieme ma non li frequento più. Hanno preso la loro strada ed io la mia“. Una delle storie difficili ma a lieto fine che sottolinea la bellezza del riscatto, il non arrendersi alle vicende della vita e l’importanza fondamentale della speranza e dell’ottimismo.